Dall’origine del nome Abbazia alle tre epigrafi degli antichi muratori.

La tutela e valorizzazione del patrimonio culturale comincia da una migliore conoscenza di ciò che esso rappresenta: dalla ricostruzione delle origini storiche ai valori che essa racchiude.

  • L’ABBAZIA Nel centro storico del comune di Corato, vi è una zona denominata, da tempi remoti, “Abbazia”. Attualmente quest’aera urbana è caratterizzata da un’ampia e irregolare piazza artificiale, definita “Largo”, creata negli anni Cinquanta del Novecento in seguito all’abbattimento di vari edifici pericolanti (tra i quali Torre Petrucci) a causa dell’innalzamento della falda freatica del sottosuolo cittadino nel 1922. Tra le costruzioni ancora esistenti che si affacciano su tale largo vi è un caratteristico edificio, probabilmente risalente al XVII secolo, che conserva un ampio arco a sesto acuto con volta a crociera, denominato appunto “Arco Abbazia”, le cui caratteristiche architettoniche inducono a ritenerlo di epoca medievale. Alla luce dell’intitolazione “Abbazia” e della sua impostazione architettonica è stata avanzata l’ipotesi che l’arco potesse appartenere ad un antico complesso monastico guidato da un abate o da una badessa e andato distrutto nel corso dei secoli. Questa supposizione, però, non è supportata da alcun documento o da altre fonti storiche. In base alle ricerche d’archivio sinora svolte, nel territorio di Corato è attestata la presenza di una comunità monastica femminile benedettina presso l’edificio di culto di Santa Maria Vetere “extra moenia” (attuale San Domenico) a partire  dal 1276. Nel 1518 le monache cedettero il loro complesso alla nascente comunità dei Frati Predicatori (i Domenicani) e si trasferirono all’interno del nucleo abitato dove costruirono un nuovo monastero con la chiesa di San Benedetto, abbattendo un precedente edificio dedicato a Sant’Antonio abate “di Vienne”. Inoltre, nel corso del XVIII secolo fu istituito un nuovo monastero di clausura intitolato a “S. Maria del Divino Amore” che accolse una comunità sempre femminile ma domenicana. Tali istituzioni ecclesiastiche non sembrano avere alcuna relazione con la zona dell’Abbazia perché erano delle comunità monastiche che nei documenti non sono mai citate come abbazie. Pertanto, è molto probabile che il termine “abbazia” utilizzato per l’intitolazione di quest’antica area urbana non si riferisca ad una comunità religiosa monastica dotata di una sua autonomia presente sul territorio di Corato; potrebbe derivare, invece, da uno dei benefici ecclesiastici istituito in seguito alla soppressione di un’antica abbazia e affidata a canonici o semplici preti coratini. Infatti, durante i secoli XIV e XV, con la riduzione del numero dei monaci nelle comunità monastiche, i beni immobiliari e fondiari di molte abbazie furono affidati a vescovi , canonici e parroci per il loro sostentamento, come compenso dei lori uffici o servizi spirituali e furono chiamati benefici ecclesiastici. Questa ipotesi nasce dalla constatazione dell’esistenza di alcuni benefici ecclesiastici presso alcune chiese coratine definiti abbazie ed è stata elaborata alla luce di recenti ricerche storiche. Infatti, dall’analisi della Visita Pastorale svolta dall’Arcivescovo della diocesi di Trani alla città di Corato nel corso del 1685 è emersa l’esistenza di un  “Beneficio seu Abbazia della chiesa d’ogni Santo”  che, nel corso del XVI, venne sostituita dalla chiesa del Monte di Pietà; tale beneficio apparteneva a don Domenico Leo, che viene citato come “Abb.e”, cioè abate secolare, ed aveva numerosi beni che vengono elencati dettagliatamente. Negli atti della Visita Pastorale del 1698 è attestata la presenza di un’ulteriore “Abbazia” posseduta da don Luca Colabella presso la chiesa di San Bartolomeo, sita sull’attuale via Roma, e priva ormai della sua funzione di culto. Infine, come si evince da un documento privato intitolato “Historiae della nobile famiglia Patroni Griffi”, esisteva un’antica Abbazia intitolata a “S. Antonio  di Vienna”, cioè S. Antonio abate  le cui spoglie giunsero a Vienne in Francia.  Secondo una nota inserita su di una pergamena proveniente dal monastero benedettino dell’Annunziata, l’abbazia è stata fondata da Giovanni Patrono de’ Cunsulo (nato a Corato nel 1428), che fece costruire una chiesa sul lato nord della città, poi sostituita dalla chiesa monastica dell’Annunziata, oggi San Benedetto.  Pertanto, considerata la presenza di vari benefici ecclesiastici, derivanti da antiche abbazie, dotati di numerosi beni, si può ritenere che la toponomastica “Abbazia” sia legata ad uno di tali benefici, forse per indicare una particolare e consistente proprietà di loro pertinenza sita nel centro urbano di Corato.
  • L’EPIGRAFE del 1452  Venne alla luce il 26 maggio del 2016 nei pressi di largo Abbazia, ad angolo tra Via Galea e via Ribatti, dopo un violento acquazzone, che provocò il distacco dell’intonaco che la copriva dalla facciata di una vecchia abitazione abbandonata. La lapide in pietra calcarea lavorata, si trova ad un altezza di 2,50 m dal piano stradale, è circondata da una cornice di forma rettangolare, misura 53 cm di lunghezza per 43 cm di altezza circa. Presenta su cinque righe orizzontali una serie di lettere sorprendentemente lavorate a rilievo abbassando il fondo, secondo un modo molto raro ma presente in centro Italia dal 1300. Queste formano parole e numeri romani intervallate da losanghe, rombi, stelle a otto punte su tre linee guida. Il testo inizia in latino nella prima riga con la scritta  ANNO DNI e nella seconda con la scritta M  CCCCLII.  Dopo parola ANNO seguono le lettere DNI sormontate da un titulus a forma di omega schiacciato, quindi si legge: ANNO D(omi)NI (anno del signore). Mentre la M, le quattro C, la L e le due I stanno ad indicare la data 1452. Segue nella terza riga la parola FECIT dove sia la F che la C risultano logorate, dovrebbe comunque corrispondere alla parola fecit (fece, costruì). Nella stessa riga si vede O2 che dovrebbe essere una m disegnata nella foggia gotica e con una linea superiore, il titulus quale segno superiore, sta per m(agister) (maestro). La parola successiva LI continua nella quarta riga con la parola LLVS è sta ad indicare il nome proprio di persona come Lillus o Lillo, nome non inusuale, tra il ‘300 e ‘500 proprio tra scultori e architetti in provincia di Barletta, come ad esempio il barlettano Lillo che operò in molte chiese e conventi nel corso del 1300. Si può notare che mastro Lillo si è poi trasformato nell’attuale cognome di Mastrolillo o Mastrorillo. Nella quarta riga la parola DOO2V3 ha delle lettere chiave per poter essere correttamente interpretata: una D come quella della scritta DNI, una O, la m gotica, una U e l’ultima lettera 3 dovrebbe essere una m scritta nella forma gotica posta in maniera verticale, onde abbiamo domum (casa, palazzo). Segue il probabile pronome ISTA3 che termina sempre con la m gotica verticale, quindi si legge istam (questa). Le due ultime parole della quinta e ultima riga sono certamente abbreviate, si vede PPIA  mAnu. La Parola PPIA potrebbe significare P(ro)P(r)IA (per sua) e la parola mAnu sta per mano. Quindi la lettura completa della lapide dovrebbe essere la seguente: “Nell’anno del Signore 1452 mastro Lillus costruì questa casa di sua mano”. Resta da chiarire che cosa di importante edificò nel 1452 tal maestro Lillo e di cui ne andava fiero. Doveva trattarsi di una abitazione privata come suggerisce l’uso del vocabolo “domum” che nel medioevo designava una casa di lusso, grande (da cui l’italiano duomo per indicare la casa di Dio), un vero e proprio palazzo. Per indicare la casa di minori pretese si usava di solito il termine “aedes”. Evidentemente maestro Lillo ne andava assai fiero. Ad oggi non conosciamo la precisa ubicazione del palazzetto privato di mastro Lillus e certamente non è quello dov’è stata ritrovata la lapide, infatti a prima vista e grazie ad alcune foto d’epoca, per quello che ne rimane, il palazzo non sembra affatto del XV secolo, bensì del XIX secolo, quindi la posizione della lapide non è quella originaria e naturalmente è stata successivamente riutilizzata nel posto dove è presente ora.
  • L’EPIGRAFE DEL 1480   Fu ritrovata nel 1996, sotto strati di calce, nell’androne del fu palazzo Ripoli in via Notar Domenico. L’epigrafe, di 92 cm di lunghezza e 32 cm di altezza, presenta nella parte destra, scolpito a rilievo, un braccio che, curvandosi, si dirige verso il centro della lapide in corrispondenza di uno scudo in cui si intravede una mano che stringe un martello che colpisce, a sua volta, uno scalpello. All’interno dello scudo vi è un altro scalpello disposto in maniera obliqua con al di sotto un fiore a cinque petali.  Nella parte inferiore sinistra è scolpita un’antica squadra, strumento molto importante per costruire un angolo retto. Nella parte in alto vi è incisa un’iscrizione non molto leggibile in cui si può notare la data 1480 (MCCCCLXXX) e il nome dello scalpellino: un certo maestro Nicola (M Nicola), che potrebbe essere anche l’autore della bifora decorata a punte di diamante che si affaccia sull’arco Ripoli e che forse era l’esponente di questa tecnica scalpellina locale.
  • L’EPIGRAFE DEL 1542  È collocata in via Santa Maria Greca, incisa su un architrave (tronco nella parte sinistra) dell’ingresso di un’abitazione nei pressi del vecchio portale della Chiesa di Santa Maria Greca. Su di essa sono incisi degli oggetti come una squadra, simile a quella precedentemente descritta, e un misterioso strumento, che, per la sua strana forma, ha stimolato la fantasia di molti cultori locali. L’oggetto inciso, infatti, presenta, nella parte superiore che termina di lato, una conformazione ondulata simile ad un cordone, in seguito un rettangolo ed un cerchio, terminante infine in una specie di tronco di cono. L’unico arnese che rassomiglia a tale figura è il filo a piombo che, assieme a squadra ed archipendolo, costituiscono gli strumenti cardine utilizzati dagli antichi maestri muratori per la costruzione di edifici, chiese e castelli. Nella parte inferiore da sinistra verso destra vi è un’iscrizione che inizia con una M con una piccola ‘o’ nella parte superiore () che sta per Maestro, poi vi si legge ANGIOLILLO MINUTO ed infine la data 1542. Il nome Angiolillo potrebbe essere il diminutivo di Angelo, mentre il cognome Minuto può essere abbinato a Minutolo di area napoletana oppure a Minutillo, molto diffuso anche nel nord barese.

( Fonti: Magnini G. – Soldano L. – Torelli E. – Archivio storico Archeoclub)

Ulteriori approfondimenti sono disponibili al link: https://www.academia.edu/30031195/L_epigrafe_del_XV_secolo_in_largo_Abbazia_a_Corato_in_Puglia_The_epigraph_of_the_XV_century_breadth_Abbey_of_Corato_in_Apulia