Con il patrocinio dell’Ufficio Nazionale per i Beni Culturali Ecclesiastici della Segreteria Generale della Conferenza Episcopale Italiana, la manifestazione 2020 è scandita in due momenti; il primo, oggi domenica 10 maggio, è dedicato alla conoscenza “a distanza” del bene cultuale attraverso la documentazione storica e fotografica della Chiesa di San Benedetto e l’annesso monastero, mentre l’11 ottobre 2020, sarà dedicato alla consueta possibilità di fruizione pubblica del monumento di culto, con conferenze e altre iniziative collaterali a supporto della manifestazione.
San Benedetto da Norcia è il patriarca del monachesimo occidentale. Nel solco della sua Regola, rigorosamente contemplativa, basata sul silenzio, l’obbedienza e l’umiltà (Ora et labora) sorsero nel continente europeo centri di preghiera, cultura e ospitalità per i poveri e i pellegrini. Paolo VI lo proclamò patrono d’Europa il 24 ottobre 1964.
«La Chiesa di san Benedetto ed il relativo complesso monastico risalgono al XVII secolo. Le attuali fabbriche ricalcano quelle di una precedente struttura religiosa intitolata a Santa Maria dell’Annunziata, monastero femminile di osservanza benedettina presente già alla fine del 1400. Il monastero si trovava presso una delle tre porte d’accesso alla città fortificata, la cosiddetta “Porta Vecchia”. Nel 1615, il vescovo Alvarez e il Sindaco dell’Università di Corato ritennero opportuno ingrandire il complesso delle benedettine e realizzare una nuova porta di accesso alla città. La nuova porta, detta Alvarez e meglio conosciuta come Porta delle Monache venne eretta nel 1625. Queste monache erano presenti a Corato sin dal XIII secolo, nel vicino complesso, fuori dalle mura cittadine, di Santa Maria Vetere (oggi San Domenico). Per motivi di sicurezza decisero di trasferirsi all’interno del nucleo urbano posto a ridosso delle mura. Nel 1627, come è attestato nell’iscrizione sul portale, la chiesa fu rinnovata secondo il progetto di Diego Alvarez, frate domenicano spagnolo, divenuto arcivescovo di Trani dal 1606 al 1634. L’edificio di culto assunse le dimensioni e l’impostazione attuale, sviluppandosi parallelamente a Via S. Benedetto sulla quale si affaccia il prospetto ricoperto da un bugnato rustico con interventi settecenteschi nella parte alta, durante il XVIII secolo; probabilmente in seguito ai danni causati dal susseguirsi di terremoti tra il 1731 e il 1743. Il portale è arricchito al di sopra da un timpano aperto e dentellato al cui interno sono realizzate due articolate volute e, nello spazio che si viene a creare, vi è una nicchia che ospita una immagine della Vergine Immacolata. Il secondo e il terzo portale sono di chiara foggia settecentesca con i conci in un bel bugnato sagomato affiancati da sobrie lesene architravate. Il primo dei due è sormontato al centro da una chiave di volta che presenta scolpito al centro lo stemma dei benedettini, mentre sulla sommità delle lesene si legge “ANTISTITA BARBARA PATRONI A.D. 1765”. Nella parte superiore della facciata si aprono quattro finestre di stile settecentesco con arco trilobato e sormontate da eleganti cimase. Le finestre illuminano il corridoio che permetteva alle monache di accedere al coro e di assistere alle celebrazioni liturgiche dall’alto. Si coronò il prospetto con un ulteriore piano scandito da undici paraste e dieci campate. Nove campate in tufo costituiscono il loggiato. La struttura esterna comprende, infine, un elegante campanile a base quadrangolare con quattro monofore a balaustra ornate nella chiave di volta da decori a rilievo a forma di conchiglia o di mascheroni apotropaici. Il campanile termina in una cupoletta a cipolla di pietra locale. Di particolare interesse è la croce di ferri posta sulla sommità, arricchita da una banderuola che riproduce lo stemma di S. Benedetto. Sull’architrave tra il primo e il secondo ordine del campanile è incisa la data “AD 1768”. L’interno della Chiesa si presenta a navata unica con cappelle laterali e altare centrale sormontato da una pala di pregevole fattura rappresentante la “Annunciazione di Maria Vergine”, risalente al primo trentennio del XVII sec., già oggetto di un importante restauro a cura del Consorzio Iconos. Nell’opera spicca il contrasto tra la serena quotidianità di Maria, dedita alla preghiera, e la brusca irruzione del divino, rappresentato dall’Arcangelo ad ali spiegate, seguito da numerosi angioletti e dall’Eterno Padre che si affaccia ad inviare la colomba dello Spirito Santo. Sul lato destro dell’altare è precisamente sulla porta che introduce alla sacrestia è posto lo stemma dell’ordine: un corvo nero in campo azzurro che stringe nel becco un pezzo di pane. Lo stesso stemma è riportato al centro del pavimento con la tecnica dell’intarsio marmoreo. Ancora a simboleggiare quest’ordine sono presenti all’interno della chiesa la statua di S. Scolastica in abito monacale, con bastone pastorale, prima badessa dell’ordine femminile benedettino; S. Antonio abate – precursore del monachesimo – in abito monastico; S. Benedetto, fondatore dell’Ordine omonimo; infine la statua settecentesca dell’Immacolata, un manichino ligneo vestito con abiti ricamati. Di notevole importanza per la storia dell’ente ecclesiastico sono due lapidi; la prima datata 1827 ricorda che il primo maggio di quell’anno Gaetano de Franci, l’arcivescovo di Trani e di Salpi, consacrò solennemente a Dio la Chiesa restituendola “ al presente splendore” per l’opera e la cura dell’allora badessa Beatrice Capano, con anche l’altare maggiore dedicato a Santa Maria Annunciata dell’Angelo; la seconda lapide risale al 1853 e riporta il seguente testo: “a spese del monastero, con il consenso e l’approvazione delle suore,sotto il governo e la vigilanza della badessa Maria Consilia Capano, con l’approvazione dell’arcivescovo di Trani e di Nazareth, Giuseppe de Bianchi Doctula, questo tempio consacrato a Maria Annunziata fu innalzato al presente splendore”. Meritevole di attenzione è anche la piccola lapide risalente al 1634, collocata nella cappella appartenuta alla famiglia Patroni-Griffi. Nella stessa cappella ci sono testimonianze di un ulteriore restauro effettuato nel 1903. Nel coretto della chiesa, a cui si accede per mezzo di una scaletta, giace in stato di abbandono un grazioso organo a canne settecentesco con tastiera in legno a funzionamento a pedale (tre campate cuspidiformi ornate da fregi dorati, portanti 19 canne in lega di stagno; la tastiera, con prima ottava corta, presenta 45 tasti in legno; sulla tavola di chiusura posteriore è evidente ancora la seguente scritta a matita: “Gioacchino Mariano di Barletta, accordatore di pianoforti e d’organo – 15 novembre 1940”. Sulla tavola laterale della cassa è altresì visibile un secondo appunto dello stesso Mariano, che indica un’altra accordatura nel 1947. Un’ulteriore testimonianza sulla storia del convento è documentata da un’iscrizione, affrescata e miracolosamente risparmiata da interventi recenti, che si trova nella zona un tempo adibita ad asilo. Il testo lacunoso a causa delle precarie condizioni della pittura è così riportato: “ questo spettabilissimo monastero cassinese avente come nome quello della Vergine Annunciata sotto la cura di D. Beatrice Capano e di D. Lauretta Sozzi badessa molto egregia ….. nel momento in cui era arcivescovo D. Vincenzo Mastropasqua…. nel periodo compreso tra il 1837 e il 1844 fu rivestito ad una forma migliore e più decorosa. In questa rettoria molti coratini ascoltarono San Gerardo Maiella in una delle sue predicazioni e sembra che assistettero alla sua estasi o levitazione. E’ risaputo che esistevano delle gallerie sotterranee che mettevano in comunicazione le principali chiese coratine intra ed extra moenia. In particolare, il monastero di San Benedetto doveva essere dotato di corridoi e cunicoli di collegamento con il convento S. Domenico (all’epoca situato fuori le mura) e con la chiesa matrice: un sicuro accesso ai cunicoli, a cui si accede attraverso una botola, si trova nel portone dell’ex asilo infantile. Dal Catasto Onciario del 1754 risulta che il “Monastero delle monache sotto il titolo di San Benedetto e della Santissima Annunziata” era composto da quaranta religiose, quattro educande e dieci serve. Possedeva 741 vignali di terre; magazzini, sette stalle, quattro botteghe e vari sottani, 440 pecore,180 capre, 11 buoi, 6 vacche, un traino. A metà Settecento, a Corato operano due monasteri femminili, quello dell’Annunziata e l’altro del Divino Amore…… Per tutto il ‘700 i monasteri rimangono il luogo privilegiato per l’educazione della bambine-ragazze appartenenti ai casati nobili e ricchi. Un fenomeno che vede l’intrecciarsi di strategie familiari tese alla conservazione dell’asse patrimoniale, ma anche l’attestazione di uno “status symbol”, segno di una florida condizione economica e sociale. Malgrado ciò non era cosa facile entrare in convento come educande. Spesso era necessaria una lettera di raccomandazione …….
(Fonti: Beni ecclesiastici in web, Archivio Diocesano di Trani, Pietro Biase, Diana Cocco, E. Torelli, Marina Labartino, Archivio storico Archeoclub).