La Chiesa Matrice e i due tesori invisibili

Nel centro storico di Corato, su di un’ampia strada denominata via Duomo si affaccia il prospetto principale della chiesa di Santa Maria Maggiore, mentre i due fianchi sono costeggiati da due arterie stradali di ridotte dimensioni: via Chiesa Matrice e via Gentile.

La chiesa di Santa Maria Maggiore è dedicata ufficialmente a “Maria Assunta in Cielo”, ma è comunemente conosciuta sotto il titolo di Chiesa Matrice. Tale denominazione è determinata dalla funzione che l’edificio ha assunto sin dalle sue origini, infatti rappresentava il principale luogo di culto per la comunità cristiana cittadina nonchè sede del Capitolo presbiterale della città.  I primi documenti della chiesa Matrice risalgono al 1081(dal Codice Diplomatico Barese) e inducono ad ipotizzare che sia stata costruita sotto il dominio normanno, durante il quale il borgo di Corato, a partire dal 1046, assunse l’aspetto di un città fortificata da mura e torri. Nei secoli la Chiesa ha subito una serie di modificazioni sia all’esterno che all’interno, che ne hanno alterato l’aspetto originale. Nel 1865 fu rifatta in tufo la sommità della facciata per l’innalzamento della navata centrale, fu murato il lunettone, vennero aperte due finestre ovali e realizzato il timpano. D’altro canto vi sono rimaste ancora opere più antiche e di chiara leggibilità medievale tra cui: il portale principale, il campanile, la parete di fondo dell’abside col rosone e i primi filari di muratura del fianco destro. Il portale principale è costituito da due stipiti decorati con elementi vegetali sormontati da un architrave e da una trabeazione a sua volta sormontata da una lunetta, in cui è raffigurata una tipica “deesis” con Cristo al centro, la Vergine Maria a sinistra e San Giovanni Evangelista a destra . Il campanile (più volte reimpaginato come nel 1743 a causa di un terremoto e nel 1859 a causa di un fulmine) presenta una pianta quadrangolare e si articola in quattro livelli di differenti dimensioni, suddivisi da cornici aggettanti, leggermente sagomate. Ad ogni livello in posizione centrale si aprono una serie di finestre ogivali distribuite nel seguente modo: due bifore sul secondo livello, tre trifore sul terzo e quattro monofore sul quarto. Alla base del primo livello vi è una zoccolatura leggermente inclinata e sporgente verso il basso. Lungo le pareti del fianco destro e del fianco sinistro si aprono sia delle finestre e sia delle monofore strombate che attualmente risultano murate. All’interno la chiesa è suddivisa in tre navate (la centrale più grande) comunicanti mediante tre grandi arcate scandite da quattro pilastri, due per lato, che sostengono tre archi a tutto sesto, sormontati da un’aggettante trabeazione in stucco che, come per tutte le pareti interne, alterano l’originaria austerità dell’edificio romanico. La navata centrale è illuminata da sei finestre (tre per lato) di forma semicircolare, che si aprono sulla trabeazione. In fondo alla navata centrale, a ridosso del presbiterio sopraelevato, preceduto da un arco trionfale, è presente l’abside quadrangolare coperta con volta a crociera e contenente un coro ligneo con due file di stalli. Le navate laterali sono coperte, invece, con volte a botte al di sotto delle quali sono presenti sei cappelle (tre per lato). Sul fondo della navata laterale sinistra si apre la Cappella del Santissimo Sacramento di proprietà della Confraternita omonima (costituita nel 1540) che custodisce importanti dipinti, rilievi e lastre tombali risalenti al XVI-XVII secolo. Sul fondo della navata laterale destra troviamo invece la Cappella dedicata a San Cataldo vescovo, protettore della città, che custodisce la sua statua lignea e il suo preziosissimo busto in argento. Nella copia settecentesca dell’Inventarium Maioris Ecclesiae Corati, del 1599 è riportata la descrizione di come erano articolate le pareti con cappelle laterali della Chiesa Matrice, di numero maggiore rispetto a quelle che vediamo oggi (tre per lato): erano infatti suddivise in 14 cappelle, sette per lato, caratterizzate da sculture e pitture in muro. Dalla descrizione si evince che sulla parete di destra, in prossimità del battistero, vi era la cappella della Madonna della Rethe e dell’Assunzione (1), poi andando in senso antiorario vi era la cappella: della Trinità (2), di Sant’Antonio (3), di Sant’Andrea (4), della Schiovazione (5) e della Madonna tra i SS. Cosma e Damiano (6), tutte cinque in muro, cioè con le immagini affrescate dei Santi titolari. L’ultima cappella, prima dell’ingresso secondario, era dedicata alla Madonna del Carmine (7) che invece di avere un affresco od un dipinto aveva un rilievo di pietra bianca, ora conservata nel Museo del territorio e che con questa intitolazione e la data 1540 rappresenta una Madonna del latte  (il cui autore, probabilmente, fu Paolo da Cassano). A sinistra dell’abside si apriva il cappellone del S. Sacramento (8) ornato da varie pitture e retto dall’omonima Confraternita, proseguendo lungo la parete di sinistra vi erano una serie di affreschi nelle cappelle corrispondenti, nell’ordine quella: della Pietà (9), del Crocifisso (10), della Natività di Gesù Cristo (11), di S. Eligio (12), Santa Lucia (13) ed infine la cappella della Madonna in muro (14) di patronato della famiglia D’Altrello. Di queste cappelle e dei rispettivi affreschi purtroppo si persero le tracce tra 1727 ed il 1728, quando, per disposizione del Capitolo, si decise di rinnovare l’interno della chiesa e attraverso una serie di modifiche sulle navate laterali, le cappelle furono murate e ridotte da sei a tre per lato, con i rispettivi altari lavorati a stucco. Durante tali lavori si modificò anche la navata centrale e l’altare maggiore.  (Fonti: Magnini Giuseppe, Luigi Soldano, Gregorio Sgarra).

L’affresco del maestro ZT.  Il 15 luglio del 1957 per un evento casuale venne rinvenuto sotto la muratura, nella parte anteriore della parete della navata sinistra, un arco ogivale ed un brano d’affresco con la rappresentazione della Madonna con bambino tra Santi e la Trinità, che corrispondeva alla descrizione della cappella (14) della “Madonna in muro” del 1599 presente nell’Inventarium Maioris Ecclesiae Corati. L’affresco risultava privo di molte parti, andate perse con il deterioramento subito dalla parete che lo ospitava. Dopo accurate analisi l’opera fu attribuita al pittore noto con la sigla ZT che operò tra la Puglia e la Basilicata nel XVI secolo. Durante i lavori di restauro portati a termine il 12 luglio del 2004 fu rinvenuta, negli intonaci, una moneta databile al 1519, attestando la datazione dell’affresco alla prima metà del ‘500. ZT è il nome di convenzione ricavato da un’iscrizione mutila posta nella parte inferiore della tavola della Madonna di Costantinopoli che era presente a Spinazzola nella cappella dell’ex Ospedale Santa Maria della Civita (già convento dei Cappuccini del XVI sec.), in cui, oltre al nome del committente, compare la data 1500, composta stranamente solo da cinque C non precedute dal millesimo e nelle ultime due lettere vi è il monogramma ZT nel quale si sono volute riconoscere appunto le iniziali del nome dell’artista. Probabilmente la tavola doveva essere parte di un polittico più vasto. Confronti stilistici hanno in seguito consentito di affiancare alla tavola un consistente numero di opere rintracciate in Puglia e in Basilicata che sono riferibili più o meno al pittore ZT e ne fanno uno degli interpreti più rappresentativi di alcuni fenomeni della cultura artistica pugliese della prima metà del XVI secolo. Le opere del Maestro ZT sono presenti: ad Alezio, a Bari, a Barletta, a Gravina in Puglia, a Ruvo di Puglia, a Trani, ed infine a Tricarico. L’affresco misura alla base 3,42m di larghezza per 5,39m di altezza massima, ha l’impianto di un polittico, è articolato in spazi suddivisi da elementi architettonici dipinti. Dall’alto verso il basso si possono distinguere: un arco a sesto lievemente acuto, una trabeazione, quattro pilatri con base e capitello, un basamento mentre nella parte inferiore è dipinto un tappeto di fiori, sulla destra è presente una nicchia rettangolare dove probabilmente doveva essere collocata la cassettina delle offerte. Anche se molto rovinati, in ogni elemento architettonico vi sono delle decorazioni che lo caratterizzano. L’arco era decorato sia con degli elementi vegetali che con delle figure paragonabili a putti alati, ora visibili sulla destra solo nell’intradosso dell’arco. La trabeazione presentava probabilmente sette elementi decorativi che potevano essere paragonati ai Greenman (o mascheroni) volti umani dalla cui bocca fuoriescono elementi vegetali alla cui estremità vi sono dei portacandela. Ad oggi si possono intravedere solo tre Greenman. I quattro pilastri a sezione rettangolare, due centrali ancora visibili e due semipilastri laterali, destro e sinistro, andati persi, erano abbelliti, solo sul lato frontale, con fregi a candelabra costituiti da elementi floreali e vegetali così come anche i capitelli in stile corinzio. Gli elementi architettonici così come stati dipinti portano alla formazione di quattro scomparti, uno superiore dato dalla lunetta e tre inferiori al cui interno sono rappresentate delle figure sacre. Il primo scomparto è rappresentato dalla lunetta dove è dipinta la Trinità, con il Padre Eterno in trono che regge Cristo in croce. Tra i due vi è lo Spirito Santo sotto forma di una colomba, simbolo dell’amore tra essi intercorrente. Alle estremità del braccio orizzontale della croce, all’interno di due cornici anche se molto rovinati, ci sono due Santi, sulla sinistra San Pietro che stringe le chiavi nella mano destra, mentre sulla destra vi è San Paolo che impugna la spada con la mano sinistra. Al di sotto dei due riquadri vi sono due Angeli in ginocchio anche questi molto rovinati. Nello spessore dell’arco ogivale vi erano dipinti altri angeli, rappresentati solo col volto, aureola e a un paio di ali, ad oggi a causa dell’usura dell’affresco se ne possono osservare solo 4. Questi angeli con gli altri due rappresentavano la gerarchia degli angeli e cioè rispettivamente: i Serafini, i Cherubini e i Troni. Tale modo di rappresentare la Trinità tra gli Angeli oranti e molto simile ad un’opera famosa, risalente al 1488 di Bartolomeo Vivarini a cui probabilmente lo ZT si sarebbe ispirato. Nel secondo scomparto la figura rappresentata è quella di un vescovo che ha nella mano sinistra un libro. La figura è caratterizzata dall’aureola che cinge il capo e dalle insegne vescovili: il pastorale e la mitra con le infule. Il santo porta il camice bianco sopra cui si intravede una dalmatica color ocra, al di sopra della quale egli indossa la casula medievale, di color rosso, bordata da una fascia dorata che crea una croce a forma di tau sul petto. Nelle rappresentazioni iconografiche, molti sono i Santi vescovi con tali attributi, come anche San Cataldo protettore di Corato a cui la tradizione vuole fosse attribuita tale figura. Una nuova ipotesi ha voluto invece attribuire a tale figura quella di Sant’Agostino autore della famosa “De Trinitate” (scritta tra il 399 e il 419) opera di 15 volumi incentrati sull’identificazione e dimostrazione dell’esistenza della Trinità, la cui presenza nell’affresco, come in altre rappresentazioni iconografiche, sarebbe giustificata dalla raffigurazione della Trinità, un vero unicum per lo ZT.Nel terzo scomparto nella parte centrale, quella meglio conservata, campeggia la Madonna di Costantinopoli col bambino Gesù, Alle spalle della Vergine, dietro un drappo, si vede un paesaggio che potrebbe rappresentare, in modo stilizzato, la città di Corato com’era tra il XVI ed il XVII secolo dove si intravedono una chiesa col campanile, delle mura, delle torri con delle merlature, delle case con tetti spioventi, comignoli, finestre e abbaino (molto simili a delle abitazioni fiamminghe). La Madonna ha il volto leggermente ambrato, uno sguardo limpido e assorto ed il capo dolcemente reclinato fino a sfiorare il Figlio, il quale, colto nell’atto di benedire, dirige i suoi occhi verso di Lei. Il bordo del manto che avvolge il viso della Vergine è decorato con foglia d’oro applicata a missione ed è presente anche nell’aureola realizzata a pastiglia. Questo tipo di immagine rappresenta la Madonna Hodegetria (colei che conduce, mostrando la direzione), è un tipo di iconografia cristiana diffusa in particolare nell’arte bizantina e russa del periodo medioevale. L’iconografia è costituita dalla Madonna con in braccio il Bambino Gesù, seduto in atto benedicente e con in mano una pergamena arrotolata, che la Vergine indica con la mano destra. Dalle misurazioni effettuate e con alcuni accorgimenti, dovuti all’innalzamento della pavimentazione, si è scoperto che l’occhio destro della Madonna è il centro di tutto l’affresco, questo porterebbe ad ipotizzare che esso sia il punto di inizio della realizzazione dell’opera da parte del maestro ZT. Nel quarto scomparto la figura si presenta molto rovinata, con molte parti mancanti che, in un primo momento, poteva sembrare impossibile capire a quale Santo farla corrispondere. Ma, grazie l’ausilio della tecnica della fotogrammetria si sono ottenute foto ad alta risoluzione e si è potuto così individuare molti particolari che hanno reso possibile l’attribuzione dell’immagine a quella di San Lorenzo. I pochi resti visibili dell’abito sono quelli di un camice bianco e quelli di una tunicella rossa e gialla,  tipico abbigliamento dei Santi martiri. Un altro particolare importante, individuato in alcuni residui di colore nero nella parte inferiore sinistra del Santo, è stato quello della graticola, attributo iconografico tipico ed unico della figura di San Lorenzo. Con l’ausilio degli ingrandimenti fotografici e delle ricostruzioni al computer, l’artista Gregorio Sgarra ha eseguito una riproduzione dell’affresco del maestro ZT nella sua interezza, compreso delle parti mancanti, realizzando un quadro ad olio in proporzioni ridotte rispetto all’affresco (96 cm di larghezza per 114 cm di altezza). Il quadro realizzato è una riproduzione molto simile all’affresco originale ma con una sua identità e originalità secondo un’espressione personale dell’artista, con l’obiettivo di rendere visibile ciò che nel tempo era andato inevitabilmente perso. In questo modo si è valorizzato sia l’affresco del maestro ZT con la sua cultura figurativa che spaziava da riferimenti fiammingo-catalani ad altri di carattere umbro-laziale e bramantiniano con suggestioni neo-bizantine e sia l’opera ricostruttiva dell’artista Gregorio Sgarra con un suo stile, unico.

Il bassorilievo del Volo di Alessandro Magno.  Sulla facciata della Chiesa Matrice, nella zona a sinistra del portale a ridosso del campanile è inserita una lastra lapidea in pietra calcarea di forma rettangolare di 1,88 m di lunghezza per 1,03 m di altezza, posta a 2,43 m da terra. Il perimetro della lastra è definito da una cornice e nella parte superiore vi sono scolpiti tre archetti a tutto sesto. La maggior parte della superficie è stata abrasa ad esclusione dei tre archi tra i quali compaiono con diversa inclinazione due figure dall’aspetto ovoidale interrotte al centro da due spezzoni di lancia appuntita convergenti verso il centro della lastra. Ad un’analisi ravvicinata queste figure presentano un corpo centrale e due estroflessioni sia nella parte superiore che in quella inferiore. Esse possono essere paragonate a delle prede scuoiate ed infilzate dalla lancia in senso longitudinale. Sia nella parte centrale della lastra che in quella di sinistra si possono notare delle irregolarità della superficie, la quale risulta più grossolana (a causa della rimozione effettuata con martello e scalpello) e più annerita, mentre nelle zone non abrase la superficie risulta più uniforme. La parte di destra ha subito una abrasione molto più profonda ed e più bianca, a causa dello scolo dell’acqua proveniente dalla finestra presente nella parte superiore della Chiesa. La superficie annerita ha creato un’ombra, definendo una parte centrale con due prolungamenti orientati in alto verso le figure ovoidali e una figura a sinistra più grande che sembra poggiare sul margine inferiore della cornice. Con tutta probabilità la stessa figura era presente anche a destra. Fu probabilmente nel primo decennio del XIV secolo, in occasione del rifacimento della Cattedrale in modalità gotiche, che la lastra venne posizionata dov’è attualmente, oppure, potrebbe essere stata mantenuta in situ, dove forse già si trovava sin dal 1081, anno a cui risalgono i primi documenti.  Molti storici locali hanno menzionato, negli anni, questa lapide, perpetuando nel tempo lo stesso errore di interpretazione che fu commesso dal primo che nel 1787 la descrisse, il modesto “Muratori” locale: Nunzio De Mattis, canonico e Protonotario Apostolico di Corato, nato 1714 e morto nel 1794, il quale, con spirito antiquario scrive:  “In qual tempo, ed anno la suddetta chiesa fosse stata edificata e costruita nella forma ora si vede, non si ha contezza, si giudica però essere antica perchè nel prospetto si vedono scolpiti in una lapide ben grande due Grifoni che dan segno di antichità.

Più oltre, parlando delle probabili modifiche subìte dalla facciata, aggiunge:  “lasciato forse ad arte, che lega col campanile sudetto, e con la lapide in cui si vedono scolpiti i Grifoni […] in mezzo il dio Forco”.

Dopo questo punto la trascrizione degli anni ‘20 recita tra parentesi (la nota fu aggiunta a margine): “Questi Grifoni e dio Forco sono stati un tempo dell’arciprete D. Michele Patroni Griffi cancellati perché creduti sciocchezza contrari alla decenza mentre i ragazzi ne diedero un significato puerile”. 

L’interpretazione, nel “dio Forco” fatta dal De Mattis, identificandolo nella divinità marina, padre delle gorgoni e delle sirene e con l’attribuzione delle due aste tenute dalla figura come i tridenti di Nettuno, diede origine, ad una serie di errori perpetuati dagli storici locali sulle origini pagane della citta di Corato arrivando sino ai giorni nostri. Come anche il fraintendimento, che anche la contrada “Forchetto” abbia preso il nome dal dio pagano, invece si è scoperto, attraverso una lettura più accurata dei registri delle nascite e dei matrimoni dell’Archivio Capitolare, compilati a partire dal 1584, che vi era un raro agnome di un’importante esponente di famiglia coratina che suonava esattamente “Forquette/a”:  il toponimo starebbe dunque a testimoniare che l’altura era una proprietà della famiglia, come per altro parrebbe confermare l’attuale presenza in loco della Masseria Forchetto. Una ricerca condotta nel 2015 ha dato origine ad una nuova ipotesi interpretativa e ricostruttiva della figura che doveva essere scolpita sulla lapide e dall’osservazione dei particolari e lo studio dei documenti si è potuto ipotizzare che il soggetto del bassorilievo cancellato, non era il dio Forco, ma doveva essere il “Volo di Alessandro Magno”, un’immagine iconografica diffusa in Italia in Europa ed anche all’estero.

“La leggenda narra che Alessandro Magno salito su di un monte molto alto, pensò di poter raggiungere il cielo, allora decise di far catturare due grifoni animali con il corpo da leone e la testa e le ali di aquila e di tenerli a digiuno per due giorni, al terzo giorno li mise al collo un giogo di legno e li legò ad un canestro di pelle di bue con delle catene, salì dentro con due lance in mano sulla cui punta aveva infilzato della carne di cavallo. I grifoni affamati, tesi per mangiare la carne, subito si alzarono in volo e Alessandro fu trascinato su con loro in cielo. Ad un certo punto un angelo avvolgendoli con la sua ombra, li fece ricadere sulla terra incolumi. I suoi soldati lo acclamarono per la grande impresa”.

Il Volo di Alessandro Magno rappresenta un’immagine mitologica, un episodio fantastico della vita di Alessandro Magno. L’evento, un viaggio immaginario, si sviluppò nel medioevo (X–XV sec.) nell’arte bizantina, come simbolo dell’imperatore divinizzato rappresentato in un canestro o in una biga, e poi normanna, come simbolo della superbia umana, rappresentato su di un trono come un imperatore decaduto, accostato alla stoltezza dei costruttori della Torre di Babele, al peccato  originale di Adamo ed Eva, esempi di un ardire della conoscenza umana che si spinge fino a “superare i limiti delle possibilità umane”. Nel bassorilievo abraso quindi, le due figure ovoidali in alto non possono essere altro che le esche di carne presenti in tutte le rappresentazioni iconografiche dell’episodio del Volo, usate da Alessandro Magno per indurre i grifoni al volo . Questi animali mitologici vengono infatti, rappresentati generalmente con la teste rivolte in direzione opposte, nell’atto di guardare le prede. La figura di Alessandro Magno, interamente perduta, è stata ipoteticamente ricostruita sul modello di altre rappresentazioni, come un imperatore con la corona seduto su di un trono, che regge in mano due lance. Il Volo di Alessandro Magno di Corato risulta essere anche l’unico esempio su scala monumentale in cui la scena ha luogo sotto tre archi. L’unico accostamento si può fare con la scena intagliata su di un lato di un cofanetto di avorio ora conservato a Darmstadt, in cui però l’imperatore regge una sola lancia con l’esca. Il Volo di Alessandro Magno di Corato andrebbe pertanto ad aggiungersi a tutte quelle rappresentazioni iconografiche del Volo presenti in altre località della Puglia come ad Otranto nel celebre mosaico di Pantaleone della Cattedrale di Santa Maria Annunziata, a Taranto nel duomo di San Cataldo, a Bitonto nella Cattedrale di San Valentino e a Trani nella cattedrale di S. Nicola Pellegrino. In quest’ultima, il Volo di Alessandro Magno è rappresentato nel mosaico del pavimento della Cattedrale con le esche e le punte delle lance che raggiungono il margine superiore della cornice, in maniera molto simile a quelle del bassorilievo della Chiesa Matrice di Corato, questo confronto iconografico conferma la particolare fortuna e diffusione che il soggetto ebbe in terra pugliese. (Fonti: Magnini Giuseppe, Luigi Soldano, Gregorio Sgarra).

Ulteriori approfondimenti sono disponibili ai seguenti link:

https://www.academia.edu/40702892/Laffresco_del_maestro_ZT_del_XVI_secolo_nella_chiesa_Matrice_di_Corato_The_fresco_by_the_master_ZT_in_the_Matrice_church_of_Corato

https://www.academia.edu/23191805/Un_nuovo_Volo_di_Alessandro_Magno_a_Corato_in_Puglia_A_new_Alexander_the_Greats_Flight_of_Corato_in_Apulia

http://www.engramma.it/eOS/index.php?id_articolo=2119