Sponsali e capitoli matrimoniali a Corato nel 1500

In molti documenti storici di Corato, successivi all’anno 1000, troviamo molte leggi e consuetudini longobarde radicate nel popolo, spesso chiamate “vecchie consuetudini paesane”. Dall’esame dei capitoli matrimoniali stipulati a Corato ( nei quali emergono gli elementi tipici degli usi e dei costumi locali legati alla tradizione della dote e del matrimonio) conservati nell’Archivio di Stato di Trani, scopriamo che nel Cinquecento, nel Seicento e nel Settecento molti matrimoni venivano celebrati seguendo i vari istituti giuridici longobardi pur non mancando disposizioni che ispiravano al diritto romano, specie per la materia dotale. Partendo da questi elementi i documenti, oggetto e fonte di studio, permettono di ricostruire, a livello locale, una “storia della famiglia”, le dinamiche sociali, economiche, religiose, nonchè il vigente sistema normativo del tempo.
Dalla disanima dei protocolli notarili, si comprende come il matrimonio si compiva in due momenti, prima la conclusione degli sponsali e capitoli matrimoniali, cioè quegli atti notarili, in cui venivano messe per iscritto le reciproche promesse e pattuizioni delle famiglie dei nubendi, per lo “Matrimonio” da contrarsi per “verba de futuro”, e poi la celebrazione del matrimonio in Chiesa che a seguire vi illustreremo.
In essi, troviamo termini come “vergine in capillis” (così veniva indicata la donna nubile, fino all’Ottocento, perché le ragazze longobarde portavano i capelli sciolti, mentre le maritate li portavano raccolti in una specie di tuppo), mundualdo, meffio, mundio,  e formule «per  verba  de  futuro»  e «per verba de praesenti».
Fatte queste premesse, Vi presentiamo una rubrica  dal titolo  “Sponsali e capitoli matrimoniali a Corato dal 1500 al 1600”, con l’ausilio di alcuni autorevoli studi svolti da Giulio Mastrangelo (SPONSALI E NOZZE IN PUGLIA TRA MEDIOEVO ED ETÀ MODERNA), studioso e cultore del Diritto Italiano e fonti tratte dal CODICE DIPLOMATICO BARESE, IV, n. 36, in A. AMATI CANTA Meffium, morgincap, mundium.
I documenti matrimoniali consistevano in due atti separati: il primo concluso privatamente, ma stilato di pugno dallo stesso notaio rogante e avente valore di promessa di dote e di matrimonio, l’altro redatto nella forma dell’atto pubblico avente natura di ratifica. Infatti, prima di presentarsi davanti al notaio, figura che per l’importanza ricoperta incuteva gran timore e rispetto, le famiglie degli sposi si erano già incontrate in privato e avevano a lungo discusso sulle modalità del matrimonio, sull’entità della dote e infine stabilito la data della celebrazione. Quest’ultima sanciva la conclusione del complicato processo di accordi orali stipulati tra le due famiglie.
Tutto aveva inizio con la parte introduttiva in cui si dichiarava data, notaio, testimoni, dotante e sposi, per poi passare all’elencazione del corredo nuziale e dei beni stabili concessi in dote e terminava con le formulazioni giuridiche di rito. Il tutto integrato dai riferimenti normativi del tempo che principalmente stabilivano le penali per inadempienza e i vincoli finalizzati alla restituzione dei beni oggetto del contratto. Le formule giuridiche di rito erano spesso, dai notari, solo accennate e scritte in un latino non sempre corretto e perciò esse fanno pensare a espressioni abituali. La figura del “Giudice ai contratti”, conosciuto solo nell’Italia meridionale e che ebbe origine nella legislazione sveva, era sostanzialmente quella di funzionario di nomina regia che con la sua costante presenza e la sua sottoscrizione corroborava la stipulazione dei rogiti notarili e vigilava sulla regolare attività notarile; si trattava pertanto di un prestigio locale non nobilitante.
Spesso si preferivano matrimoni di due sorelle con due fratelli, di vedove con cognati e naturalmente tra cugini per far rimanere nell’ambito della famiglia il capitale.  La dote fu anche uno strumento di difesa del patrimonio nel senso che all’atto di riceverla la donna rinunciava a qualsiasi eredità futura, sia da parte delle madre che del padre. Così l’atto notarile non serviva solo a legalizzare la trasmissione dei beni, ma ad escludere la donna dalle successive suddivisioni del patrimonio, favoriva quindi la discendenza maschile ed evitava ulteriori dispersioni del capitale immobiliare della famiglia.
Il matrimonio longobardo consisteva dunque, in origine, nella cessione della donna, il cui prezzo (meta, meffio) veniva pagato direttamente dallo sposo al mundualdo, cioè a colui che ne deteneva la potestà (il mundio) ed era chiamato ad assistere la donna nel compimento di ogni atto giuridico, e che di solito coincideva con il padre (o in mancanza di questi, con il fratello maggiore o lo zio paterno).
Gli “sponsali” consistevano nella formale promessa (sponsalia) seguita, a distanza di un certo tempo, dalla consegna effettiva della donna (traditio) che avveniva contestualmente al pagamento della meta o meffio e, una volta consumato il matrimonio, con la consegna del morgincab (dono del mattino).
Alla stipula degli sponsali non era presente la donna, nè era richiesto il suo consenso, perchè il matrimonio era frutto della contrattazione tra le famiglie rispettive dei nubendi.
In Puglia, nel basso medioevo, il mundio conservava una solidissima quotidianità nei rapporti famigliari e patrimoniali riguardanti le donne.
Tuttavia, a contatto col mondo giuridico romano e per l’azione moralizzatrice della Chiesa, il matrimonio lngobardo già dall’VIII secolo si trasforma con due importanti modifiche: il pagamento della “meta” (l’antico prezzo del mundio) avviene non più a titolo di vendita ma di donazione, e viene corrisposto non più al mundualdo (di solito il padre), ma alla donna stessa per avere acconsentito alle nozze.
Le promesse di matrimonio venivano consacrate in un contratto scritto, con cui il mundualdo prometteva di consegnare la donna mentre lo sposo si obbligava a prenderla
in moglie pagando la meta (o meffio) convenuta, cioè il prezzo del mundio, nonchè a conferire alla moglie, il giorno dopo le nozze, il morgingab.
A garanzia delle obbligazioni assunte vi era la wadatio, ossia il futuro sposo prestava una fideiussione (chiamata wadia), con la nomina di un fideiussore che, in caso di suo inadempimento, garantiva il pagamento della “meta”.
Il secondo dei due negozi con cui si perfeziona il rito del matrimonio longobardo è la traditio cioè la consegna della donna allo sposo da parte del mundualdo il giorno del matrimonio, che doveva seguire nel termine massimo di due anni dalla stipula degli sponsali. La consegna avveniva pubblicamente, con forme solenni davanti a parenti e a testimoni. Quando le condizioni economiche della famiglia lo consentivano, la sposa non andava a nozze senza portare allo sposo la dote, come suo contributo ad “sustinenda onera matrimonii”.
Per la famiglia di lei era un dovere, morale e giuridico. Di solito i beni dotali sono costituiti dal letto matrimoniale, da lenzuola, cuscini, coperte, abiti, e dagli utensili di vita quotidiana necessari per la cucina. Scarse le promesse di mobili, limitate di solito a una cascia ove riporre il corredo, a un cascione per conservare granaglie, legumi e altre provviste alimentari e ad una boffetta. Talora viene promessa in dote anche un’argata (telaio) con tutti gli accessori, segno che la futura sposa era tessitrice. Se le condizioni economiche della famiglia lo consentivano, venivano promessi in dote anche fondi rustici, edifici, case, suolo su cui fabbricare la casa coniugale.
Durante il matrimonio, la dote era inalienabile e distinta dagli altri beni della moglie e rimane nelle mani del marito il quale si obbliga a non venderla, nè alienarla ma ad amministrarla. In caso di matrimonio infecondo da cui non siano nati figli o in caso di premorienza della moglie, il marito si obbliga alla restituzione dei beni dotali.
La scelta del coniuge, come già detto, era prerogativa dei capi famiglia e dettata esclusivamente da motivazioni economiche: mancava ogni riferimento a un rapporto di amore fra i coniugi. “Il prestigio di una famiglia proveniva non tanto dalla levatura culturale dei soggetti bensì dalla loro forza finanziaria e perciò accumulare beni per ingrandire il patrimonio personale era uno degli obiettivi principali di tutte le famiglie”. Con l’accrescimento delle ricchezze era garantito anche l’avanzamento sociale perchè il capitale era considerato elemento nobilitante e per questo l’ascesa era strettamente vincolata ad una redditizia gestione degli affari familiari. Il fine era sempre quello di mantenere integro il patrimonio famigliare e non disperderlo.
Dall’analisi degli atti notarili, si evince che la donna non figura tra i contraenti degli sponsali e non parla mai negli atti di matrimonio che la riguardano, ne è il soggetto passivo, muta spettatrice dell’operato del suo mundualdo. Tuttavia, considerata la condizione delle figlie legittime, la prospettiva di maritarsi per esse era un traguardo ambito, determinante un cambio di status, col passaggio dalla condizione di filia o virgine in capillo a quella di moglie e quindi di madre cui era rimesso il potere-dovere di allevare ed educare i figli.
(A cura di Giulio Mastrangelo).
Termini riscontrati negli atti matrimoniali:
Apeto: legno di abete.
Avantisini: grembiule uguali ai matesini napoletani.
Bambace: cotone grezzo o tessuto di canapa (bambacia).
Caldara: caldaia per cucinare.
Camastra: catena che sosteneva la caldara sul fuoco.
Cascia: cassa, cassapanca; era il mobile in cui si conservava il corredo.
Cascione: grande cassapanca in cui si conservavano anche legumi e granaglie.
In benedictione: si chiamavano in benedictione i beni che venivano consegnati 
nel giorno della celebrazione del matrimonio. Di solito sono descritti 
e promessi dopo i beni propriamente dotali ma non differiscono da questi. 
Si riscontrano anche nei capitoli matrimoniali di altre città pugliesi. 
Hanno la stessa natura e sono sottoposti allo stesso regime di quelli 
dotali in quanto lo sposo assume l’obbligo di restituirli al pari degli 
altri in caso di scioglimento del matrimonio.
Mundualdo: colui che esercita la potesta sulle figlie nubili; 
in genere il mundio veniva esercitato dal padre o, in mancanza, 
dal fratello maggiore o dallo zio paterno detto barbas.
Meffio: prezzo del mundio; consisteva in una somma di denaro 
ma si ignorano i criteri con cui veniva stabilito.
Morgincab: letteralmente il dono del mattino, il morgincab 
era regolato in origine dalle norme consuetudinarie e consisteva 
nel dono di un anello o di altro oggetto, anche di modico valore 
(es. uno scialle di seta), che il marito offriva alla moglie il giorno 
dopo le nozze, sempre alla presenza di amici e parenti.
Mundio: la potesta sulle figlie nubili esercitata dal mundualdo 
e che passava al marito col matrimonio previo pagamento del meffio/meta. 
Tuttavia il passaggio del mundio al marito non era automatico, 
ma anche dopo il matrimonio poteva restare appannaggio della famiglia di origine.
Quarta:  vedi morgincab.
Saccone: una specie di materasso riempito con foglie di mais.
Sponsali: promesse di matrimonio che venivano redatte con atto notarile 
alla presenza di testimoni.
Traditio: l’atto di consegna per mano della nubenda dal mundualdo allo sposo.
Tristelli: sostegni di ferro per le assi del letto matrimoniale.
Virginis o filia in capillis: figlia nubile. L’espressione indica la donna nubile. 
Si chiamava “filia in capillo” la figlia (legittima o naturale) ancora non sposata.
Wadia/guadia: fideiussione prestata da parte dello sposo a garanzia delle 
obbligazioni assunte con gli sponsali. In forza della wadia, il mundualdo, 
in caso di inerzia del promesso sposo, trascorsi due anni dagli sponsali, 
poteva costringere il fideiussore che aveva prestato la wadia e 
garantito l’adempimento dei patti racchiusi negli sponsali, a soddisfare 
la “meta”,  promessa a pagare la somma stabilita quale prezzo del mundio.
(A cura di Giulio Mastrangelo).
A seguire vi proponiamo la  traduzione parziale di una cartella dotale, nonché le immagini di alcuni atti notarili: – Archivio di Stato di Trani : cartella matrimoniale rogito del  Notaio Iacobo Carello Prot. 188   73r – 76v  – (12 febbraio 1614) – Archivio di Stato di Trani – Cartella matrimoniale – Notaio Nicola Berardino Del Consilio Prot. 74 219r – 222v  (30 aprile 1582).